Incontro culturale

Da Roma a Vienna: breve storia del Sacro Romano Impero

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Docente Annamaria Caligaris

Lezioni tenute da Annamaria Caligaris per l’Università Aperta Auser di Conegliano
nel mese di febbraio 2004

ORIGINE DEL SACRO ROMANO IMPERO
Qual è l’origine di questo straordinario Impero che tanta parte ebbe nella storia di Vienna e che per molti secoli condizionò le vicende dell’Europa? Ancora in età napoleonica, e precisamente fino al 1806, Francesco II poteva fregiarsi del titolo di imperatore del Sacro Romano Impero Germanico. Senza contare che l’Impero d’Austria, seppure con un nome più laico, continuò a esistere ancora per più di cento anni, fino a collassare definitivamente, insieme con l’Impero Ottomano, solo alla fine della Prima Guerra Mondiale. Ancora oggi ne avvertiamo le conseguenze. Non a caso i confini dei nuovi stati, costruiti a tavolino sulle ceneri dei due Imperi medievali che ignoravano il principio di nazionalità, sono stati o sono ancora fonti di conflitti nella zona balcanica e in Medio Oriente.

Carlo Magno incoronato da Papa Leone III

Vista l’attualità del nostro tema, vale la pena di fare un salto di undici secoli, fino a quella notte di Natale dell’800, quando, come recitano tutti i libri di storia, al termine della Messa nella basilica di S.Pietro, il papa Leone III incoronò Carlo Magno imperatore del Sacro Romano Impero. Una data tonda tonda, che abbiamo imparato tutti senza sforzo ai tempi della scuola. Più difficile capire il significato di quella incredibile incoronazione. Gli storici ci offrono interpretazioni così diverse, che si stenta quasi a capire che si parli dello stesso fatto.
Proviamo a risalire alle fonti storiche, e possiamo farlo perché, in un’epoca che è stata in genere avara di notizie, gli avvenimenti di quella notte sono abbastanza documentati.
Cominciamo dagli Annales Regni Francorum, cioè dagli annali del regno dei Franchi. In una pagina, stesa probabilmente pochi mesi dopo l’incoronazione, si legge che, mentre Carlo Magno, re dei Franchi, si levava alla fine della Messa, il papa Leone gli pose la corona sul capo e il popolo romano gridò: “A Carlo Augusto coronato da Dio grande e pacifico imperatore dei Romani vita e vittoria “. Dopo di che Carlo venne “adorato dal papa”.
Sul Liber Pontificalis (il libro dei Pontefici) la cronaca, scritta qualche anno dopo, è simile, ma è omesso il particolare dell’adorazione da parte del papa, mentre si aggiunge che Carlo venne unto con l’olio santo. Con questo rito di origine ebraica sarebbe stato replicato il cerimoniale di incoronazione degli imperatori bizantini in uso a Costantinopoli, l’antica Bisanzio (da cui il termine bizantino), oggi Istanbul.

Costantinopoli fondata da Costantino sull’antica Bisanzio (ricostruzione)

Secondo Eginardo, lo storico franco che scrisse la Vita Caroli (Vita di Carlo) alcuni anni dopo la morte dell’imperatore, avvenuta nell’814, Carlo Magno avrebbe dichiarato di essere del tutto all’oscuro di ciò che doveva accadere, anzi, se lo avesse saputo prima, non sarebbe neppure entrato in chiesa.
Ammesso che la dichiarazione del biografo corrisponda al vero, perché Carlo non sarebbe stato contento di ottenere per sé e per i suoi guerrieri franchi il crisma della universalità? Non era un vantaggio essere contemporaneamente re dei Franchi, re dei Longobardi (in quanto aveva vinto il loro re) e imperatore dei Romani?
Le ragioni potrebbero essere due. Prima di tutto la parte decisiva era toccata al papa, strumento di Dio. Ciò significava che l’autorità dell’imperatore proveniva sì da Dio, ma solo attraverso il papa. A Costantinopoli nessuno si sarebbe sognato di affermare la superiorità del vescovo (patriarca) sull’imperatore. In secondo luogo Carlo era stato acclamato dal popolo romano, un’entità giuridica e politica estranea alla tradizione di un capo militare franco, che era acclamato di solito prima di tutto dai suoi guerrieri in armi. Tutto questo spiega a sufficienza il presunto sconcerto di Carlo Magno?
Proviamo a esaminare le circostanze di questa incoronazione, a quanto pare, imprevista.

PERCHÉ CARLO MAGNO SI TROVAVA A ROMA?
Secondo una prassi consueta in quei tempi il papa era stato accusato di simonia, adulterio e spergiuro dai suoi nemici, esponenti delle autorevoli famiglie romane. Il papa si appellò a Carlo, per chiedere giustizia e, due giorni prima di Natale, giurò la sua innocenza davanti al re dei Franchi, che lo assolse!
Per quanto fosse un ammiratore della cultura latina e appartenesse ad una famiglia di re cristiani insigniti dai papi del titolo di “patrizi dei romani”, Carlo era pur sempre un rozzo e analfabeta capo tribù barbaro. Come poteva avere l’autorità di giudicare e assolvere addirittura un papa?
Se i Franchi sembravano destinati all’egemonia dell’Occidente, perché controllavano un territorio più vasto e una popolazione più numerosa degli altri regni barbarici, questo di per sé non spiega, però, le ragioni di una così evidente preferenza del papato nei loro confronti.
Le spiegazioni vanno cercate invece nella presenza in Italia dei Longobardi e dei Bizantini, entrambi poco graditi al papato.

Italia divisa tra Longobardi e Bizantini (745 circa)

PERCHÈ  IL PAPATO NON SI APPOGGIÒ AI  LONGOBARDI?
Il corso della storia sarebbe stato diverso, se il papa avesse stretto con la monarchia longobarda una solida e vantaggiosa alleanza, ma il papato, forte di una tradizione diplomatica ormai secolare, decise di trattare i Longobardi come nemici. Nonostante la loro conversione al cattolicesimo e il loro progresso nelle arti, egli preferì rivolgersi ai Franchi. La creazione di un regno longobardo che comprendesse tutta l’Italia avrebbe portato, infatti, necessariamente ad una limitazione del potere dei papi e ad un ridimensionamento del Patrimonio di S. Pietro che si stava costituendo proprio in quel periodo.
Un millennio più tardi questo tema tormenterà il povero Alessandro Manzoni. Circondato da intellettuali che consideravano quello del regno longobardo un’occasione mancata per la storia dell’Italia unificata, volle comunque difendere nella sua tragedia Adelchi l’operato del papa, il quale aveva chiamato i Franchi per salvarsi dalle pretese espansionistiche longobarde.
Paradossalmente invece erano stati proprio i Longobardi che, con le buone o con le cattive, direttamente o indirettamente, avendo restituito i territori bizantini da loro occupati (non all’imperatore d’Oriente, bensì al papa!), avevano creato le basi del futuro Stato della Chiesa, che comprenderà appunto gli ex territori bizantini dell’Esarcato (con capitale Ravenna) e della Pentapoli (Romagna Marche e Umbria).

PERCHÈ IL PAPA NON SI ERA RIVOLTO ALL’IMPERATORE D’ORIENTE?
Dal 476, con la deposizione di Romolo Augusto, si può considerare conclusa l’esperienza dell’Impero Romano d’Occidente. I vari re delle monarchie romano-germaniche, createsi nell’Europa occidentale con l’insediamento delle tribù dei “barbari invasori” talvolta riconobbero formalmente l’autorità dell’imperatore d’Oriente che risiedeva a Costantinopoli, ma più spesso lo ignorarono e se ne arrogarono alcune funzioni.
In qualche modo, però, l’Occidente continuò ad avvertire una sorta di continuità con l’Impero Romano. Inoltre nel VI secolo Giustiniano, imperatore d’Oriente, sconfisse i Goti, i quali avevano occupato l’Italia, e la nostra penisola conobbe così il dominio bizantino, ben presto ridimensionato, però, dalla conquista longobarda. (Da questo momento fino al Risorgimento l’Italia non avrà più un governo unitario).

Giustiniano con il suo seguito

Già molte erano state le cause di dissenso tra Roma e Costantinopoli, tra la chiesa romana  e quello greco-bizantina, che voleva attribuire al patriarca di Costantinopoli la stessa autorità del vescovo di Roma.
Nel secolo VIII si era aggiunto anche il desiderio degli imperatori bizantini di ridimensionare il feticismo e il “politeismo” cristiano, eliminando il culto delle immagini. La battaglia iconoclasta si trasformò ben presto da religiosa in politica: l’editto imperiale che imponeva la distruzione delle immagini provocò uno scandalo in Italia. Una rivolta a Ravenna portò all’uccisione dell’esarca (governatore) bizantino, il papa scomunicò gli iconoclasti e il disaccordo della Chiesa romana con l’Impero divenne irriducibile. I papi ritennero così di dover cercare altrove i loro alleati.
In quel periodo, inoltre, a Costantinopoli l’imperatore iconoclasta era stato accecato e deposto per volontà di sua madre che si era insediata sul trono. Devota alle immagini sacre e per questo molto apprezzata dai monaci bizantini, l’imperatrice Irene suscitava però qualche perplessità e, secondo alcuni, il trono imperiale, occupato da una donna, era addirittura …vacante.
In conclusione, incoronando Carlo Magno, il papa non solo ottenne l’appoggio incondizionato dei Franchi contro le pretese espansionistiche dei Longobardi, ma riuscì anche a sottrarsi definitivamente all’autorità formale di Costantinopoli. Visto che ormai in Occidente esisteva un imperatore, non c’era più nessuna ragione di riconoscere il potere di un altro sovrano. È vero che il potere dell’imperatore di Costantinopoli era quasi del tutto formale, ma poteva ancora essere troppo ingombrante, data l’esistenza di un esarca bizantino nella fin troppo vicina città di Ravenna.

Interno della basilica di San Marco a Venezia

QUALI FURONO I RAPPORTI FRA I DUE IMPERI?
Come avrebbe dovuto comportarsi Carlo Magno, nuovissimo imperatore d’Occidente, con Irene? Avrebbe potuto spodestarla (e non sarebbero mancate le giustificazioni morali), oppure sposarla o farsi riconoscere da lei come collega. Prima che Carlo riuscisse a prendere una decisione, Irene fu deposta e sostituita. I due imperi dovettero alla fine fronteggiarsi frontalmente. Si trattava, però, del duello tra una tigre e uno squalo, cioè tra due potenze troppo lontane e troppo diverse.
Visto che la laguna veneta era diventata la cerniera tra i due imperi, il figlio di Carlo, Pipino, saccheggiò Malamocco, mentre i Bizantini spiegavano la loro flotta nella zona, ma il conflitto fu praticamente solo teorico. Il nuovo imperatore bizantino accettò di riconoscere il titolo di Carlo, purché egli restituisse la città di Venezia, l’Istria e la Dalmazia, che erano prima bizantine.
A poco a poco, però, la sovranità dell’imperatore bizantino andò svanendo e Venezia si sviluppò in modo autonomo, snobbando i rozzi re delle varie tribù germaniche, che in Occidente avevano adottato il titolo di “sacro romano imperatore” per legittimare ed estendere il loro potere.
In questo modo i Veneziani poterono guardare ora a est ora a ovest in cerca di profitti, di potenza e di ispirazione artistica, diventando così intermediari attivi tra Oriente ed Occidente…

QUALI FURONO LE CONSEGUENZE DI QUELLA INCORONAZIONE ?
Carlo Magno nella notte di Natale dell’anno 800 si trovò insignito di un titolo molto particolare e per certi versi sconcertante, che sottolineava il nuovo principio di una autorità la quale, attraverso il papa, proveniva da Dio. Un concetto questo che attraverserà tutto il Medioevo e, con le necessarie modifiche, arriverà fino al secolo XIX.
Nel 1861, quando si trattò di proclamare il re d’Italia, dovendo scegliere tra la dicitura medievale e un’altra più moderna, si optò per un compromesso e Vittorio Emanuele e i suoi eredi furono re “per grazia di Dio e volontà della nazione”.
Nel Medioevo questa concezione divina dell’autorità fornì ai papi un’arma potente, quella della scomunica: un imperatore scomunicato era privato della sua autorità e poteva essere abbandonato dai suoi feudatari. Va anche detto che nella elaborata concezione monarco-sacrale, sottintesa a quella incoronazione, non fu mai chiara e definitiva la distinzione fra l’imperatore e il papa.
Tutti e due erano sentiti come principi temporali e come potenze sacrali e tendevano addirittura ad emularsi sul piano della simbologia degli attributi e delle cerimonie. “Non sono soltanto sacerdote, ma anche re!” poteva dire il papa e di rincalzo l’imperatore: “Non sono soltanto re, ma anche sacerdote!”
I papi medievali ribadirono a suon di lettere e bolle papali la loro superiorità su tutte le altre autorità e Innocenzo III utilizzò per il papa la metafora del sole (fonte di luce diretta) e per l’imperatore quella della luna (luce riflessa).

Gregorio VII con Enrico IV e Matilde di Canossa

Come è noto questa concezione era invisa a Dante che, essendo contrario al potere temporale dei papi, proponeva per il papa e per l’imperatore la metafora dei due soli.
Per giustificare la costituzione “di un regno papale”, la cancelleria aveva creato, probabilmente proprio nell’ VIII secolo, un famoso falso: la donazione di Costantino, nella quale l’imperatore romano Costantino dichiarava nel 313 di regalare a papa Silvestro tutte le terre dell’Impero Romano. Grazie a questa pretesa donazione, il papa poté vantare parecchi diritti, anche dopo che nel Quattrocento ne fu dimostrata la falsità da uno studioso umanista.
Dal canto loro gli imperatori si attribuirono (con il Privilegium Octonis) il diritto di confermare l’elezione del vescovo di Roma o di nominare i vescovi.
Da questa sovrapposizione di funzioni derivò una secolare lotta tra Papato ed Impero (vedi lotta per le investiture dei vescovi conti, conflitto tra guelfi e ghibellini e così via…)

CHE FINE FARÀ L’IMPERO DI CARLO MAGNO?
Per alcuni secoli il nome e la figura di Carlo Magno continueranno ad essere circondati da un’aura di grande autorevolezza e santità, mentre fu ben presto evidente la debolezza di questo Impero, considerato dai re franchi non come uno stato unitario, ma come un patrimonio privato da dividere in eredità tra i loro figli.
Un altro motivo di debolezza è legato alle pretese dei compagni (in latino comites e di qui conti) del sovrano. Esaurite le conquiste  territoriali, in assenza di terre utilizzabili dagli imperatori come ricompensa per le prestazioni militari, i feudatari maggiori ottennero di poter trasmettere i loro feudi agli eredi e, solo dieci anni dopo (nell’887), deposero l’ultimo dei Carolingi, Carlo il Grosso. Si apriva l’epoca dell’anarchia feudale.
Formalmente il titolo di imperatore non era scomparso: connesso a quello di re d’Italia e conteso per ottanta anni dai grandi Signori feudali, di origine franca, esso venne assunto successivamente dai Signori di Friuli, Spoleto, Provenza, Borgogna e Ivrea. Nessuno di questi personaggi riuscì a dar luogo ad un potere stabile. Scomparso il regno feudale indipendente in Italia, la penisola cadrà invece sotto il dominio delle varie dinastie tedesche.

Ottone I di Sassonia

IL SACRO ROMANO IMPERO GERMANICO
Il compito di dare nuova credibilità al Sacro Romano Impero spetterà, infatti, ai grandi feudatari tedeschi a cominciare da Ottone I, proprio il capo di quei Sassoni che Carlo Magno aveva combattuto per trent’anni, facendone poi decapitare in tre giorni 4500, perché non avevano voluto abiurare i loro dei e convertirsi al cristianesimo.
Adesso era la volta di Ottone che, a distanza di poco più di un secolo, si presentava come difensore della cristianità grazie alle sue vittorie contro gli Ungari e alle sue guerre contro gli Slavi. Grande protettore della chiesa, egli controllava tutti i vescovadi e le abbazie tedesche.
Si era già fatto incoronare re di Germania ad Aquisgrana (la capitale di Carlo Magno), secondo una nuova prassi che presentava parecchie ambiguità. Ottone, infatti, era re per espressa volontà di suo padre, per l’elezione dei duchi e dei grandi del regno che gli avevano giurato fedeltà vassallatica, per acclamazione del popolo e infine per la consacrazione con olio sacro degli arcivescovi di Magonza, Colonia e Treviri, dai quali ottenne i simboli del potere!
Nel 962 arrivò a Roma e dal papa fu incoronato imperatore del Sacro Romano Impero Germanico (o della nazione tedesca).
Fonte di orgoglio per alcuni storici tedeschi, questa incoronazione rivelerebbe, invece, la debolezza della Germania, che nel sec. X avrebbe potuto facilmente essere unificata da una sola monarchia, mentre tre secoli dopo sarà un’anarchica confederazione di principati e di repubbliche.
Ottone si presentò come “erede” dell’Impero Romano e di quello Carolingio. Si parlò di translatio imperi e cioè di un trasferimento dell’Impero dai Romani ai Greci (Bizantini), ai Franchi, ai Germani.
In teoria l’Impero comprendeva il mondo intero, quanto meno tutta la Cristianità, ma sempre più andò confermandosi come fatto esclusivamente tedesco, a cui l’Italia era legata per necessità (trattandosi di un impero “romano” l’Italia non poteva non farne parte, almeno teoricamente!).
Questo assimilò in un certo senso i destini dell’Italia e della Germania che, non a caso, giunsero entrambe all’unificazione nazionale in modo travagliato soltanto nella seconda metà del sec. XIX, cioè quattro secoli dopo la costituzione degli stati nazionali dell’Europa occidentale: Spagna, Francia e Inghilterra. In effetti, però, in Italia l’autorità imperiale fu ignorata o venne contestata dai comuni, spesso sostenuti dal papato nella loro lotta contro l’imperatore.

Corona del Sacro Romano Impero realizzata per Ottone I

CHI ELEGGEVA L’IMPERATORE?
In pratica avevano formalmente diritto di partecipare all’elezione tutti i “principi dell’Impero”, cioè tutti i più importanti feudatari delle terre d’obbedienza imperiale.
La Dieta (riunione della durata di un giorno, da dies latino) dell’Impero (Reichstag) era la sede in cui si eleggeva l’imperatore, ma non aveva alcuna struttura precisa e si svolgeva come e quando era possibile. La Dieta designava il re di Germania, che era ormai contemporaneamente anche re d’Italia e perciò stesso acquisiva il diritto di chiamarsi formalmente re dei Romani.
Gli imperatori più forti cercavano di crearsi una dinastia e, mentre erano ancora in vita, si associavano al trono i loro eredi. Negli altri casi si verificarono lotte per la successione con periodi di interregno.
L’unità dell’Impero fu sempre più ideale che reale. L’imperatore, senza una capitale prefissata, continuava a spostarsi da una sede all’altra. Mobile era la Curia (per gli affari giuridici), la Cancelleria (cioè il segretario), la Camera (cioè il tesoro). La carica più precisata era quella del cancelliere, carica spettante per tradizione agli arcivescovi di Magonza o di Colonia.
In realtà ogni imperatore portò un suo sistema e scelse cariche di governo diverse.
Un imperatore sui generis fu nel sec.XIII Federico II, il quale preferì abitare a Palermo e organizzò il suo stato in modo fortemente centralizzato, su modello dei sovrani normanni, suoi antenati materni.
Falliti gli esperimenti della Casa di Svevia (Federico Barbarossa e Federico II) di tradurre in realtà i sogni  di potere ecumenico nei confronti degli altri re, dei comuni italiani e dei feudatari tedeschi, fallito l’ultimo anacronistico e nostalgico tentativo di Arrigo VII di Lussemburgo, a Carlo IV di Boemia spettò il compito di correggere l’anomalia di una carica elettiva per la quale non erano precisati… gli elettori.

Federico II (dal Trattato sulla falconeria)

La Bolla d’oro, emanata da Carlo nel 1356 stabilì che gli elettori fossero solo sette: quattro laici, il re di Boemia, ovviamente, il marchese di Brandeburgo e il conte del Palatinato del Reno, e tre ecclesiastici: gli arcivescovi di Magonza, Treviri e Colonia.
Nel corso degli anni si erano appropriati della corona imperiale i grandi signori feudali delle case di Sassonia (gli Ottoni), di Franconia, di Svevia (Federico Barbarossa e suo nipote Federico II), di Lussemburgo, di Boemia.
Nel sec. XIII erano stati eletti anche due imperatori della famiglia Asburgo, destinata in futuro a legare indissolubilmente il suo nome all’Impero ed alla città di Vienna. Se le fortune imperiali degli Asburgo conobbero per due secoli una battuta d’arresto, ciò si deve innanzi tutto al fatto che i principi tedeschi, quando era loro possibile, evitavano l’elezioni di personaggi troppo potenti, in grado di far rispettare le loro prerogative.
Inoltre, nel successivo secolo XIV, ad indebolire lo slancio dell’espansione territoriale degli Asburgo (in tedesco Habsburg) erano intervenute la dura lotta con gli Svizzeri stretti in confederazione (ai quali gli Asburgo dovettero abbandonare la maggior parte dei loro originali possessi occidentali) e le tormentate vicende di successione, che avevano diviso e mantenuto separati i domini di due rami della famiglia.
Quando Federico III riuscì a riunificate tutti i territori degli Asburgo e fu imperatore nella seconda metà del Quattrocento, scelse per la sua casata il misterioso motto AEIOU, da leggersi, probabilmente, come l’acronimo di “Austriae est imperare orbi universo”, cioè “all’Austria il compito di comandare su tutto il mondo”.
Nonostante il Medioevo fosse ormai definitivamente tramontato, gli Asburgo sembravano voler ancora rinnovare il mito dell’Impero universale!

Impero asburgico di Carlo V

UN IMPERO SU CUI NON TRAMONTAVA MAI IL SOLE
Quando da un complicato gioco di parentele scaturì l’enorme concentrazione di territori nelle mani del bisnipote di Federico III, il futuro imperatore Carlo V, la sacralità di un Impero plurinazionale e sopranazionale parve nuovamente resuscitata.
“Sul mio regno non tramonta mai il sole”, poteva annunciare Carlo, perché quando tramontava in Europa, sorgeva in America!Sul suo capo si sommarono le corone di mezza Europa, frutto esclusivo di eredità: dai nonni materni Massimiliano I e Maria di Borgogna ricevette l’Austria e i domini asburgici, la Borgogna e le Fiandre, mentre dai nonni materni, Ferdinando e Isabella, l’Aragona, la Castiglia (vale a dire la Spagna), i possedimenti aragonesi in Italia (Regno di Napoli, Sicilia e Sardegna) e le colonie spagnole d’America. A ciò si aggiunse la pretesa della corona imperiale, giuridicamente elettiva, ma ormai di fatto riservata agli Asburgo. L’elezione fu quanto di meno sacro e disinteressato si potesse immaginare.
Vista l’estensione dei regni di Carlo, il re di Francia Francesco I si sentì soffocato entro i domini asburgici e volle almeno evitare che, alle altre corone, Carlo potesse aggiungere anche quella imperiale. Pose a sua volta la candidatura all’Impero, giustificandola con la sua discendenza da Carlo Magno!
La questione fu risolta dall’alta finanza: i Fugger, i Welser e, in minor misura, altri banchieri tedeschi comprarono il voto dei sette grandi elettori con un’incredibile “tangente”: 850.000 fiorini (equivalente a 2100 chili d’oro). I banchieri non usavano perifrasi e nelle loro lettere elencarono le somme con le quali avrebbero corrotto gli elettori e i personaggi influenti del loro seguito. Il candidato dei finanzieri fu ovviamente Carlo, che poteva promettere l’oro delle colonie americane o, quanto meno, il futuro sfruttamento delle miniere d’America… Così nel 1519 diventò imperatore!
Non dobbiamo stupirci se con decisioni del genere le ricchezze americane, sperperate prima ancora che arrivassero alle casse dello stato, non avvantaggiarono la Spagna, ma, come dirà un ambasciatore veneziano, “rimbalzarono come pioggia dai tetti spagnoli e si fermarono altrove”.
L’unico a non ricevere nulla fu l’elettore del Brandeburgo, che decise troppo tardi di abbandonare Francesco I e di schierarsi dalla parte di Carlo.

Carlo V in battaglia ritratto da Tiziano

Un aneddoto ci riferisce che Carlo V, mentre si faceva ritrarre da Tiziano, avrebbe raccolto da terra un pennello, che era caduto di mano al pittore e alle rimostranze di quest’ultimo avrebbe risposto:” Di imperatori come me ce ne sono stati tanti, ma di pittori come Tiziano uno solo!”
Oltre a questi momenti dedicati a posare per il grande artista, Carlo V trascorse ben pochi periodi inoperosi, si mosse infatti continuamente su tre fronti: la prevedibile e lunga guerra con Francesco I, la ribellione dei principi protestanti e l’avanzata dei Turchi, che nel 1529 assediarono addirittura Vienna.
Prima che lo cogliesse la morte, dovette dichiarare fallito il suo sogno di restaurare l’universalità e la sacralità dell’Impero. I domini asburgici erano decisamente troppo vasti e assolutamente non omogenei. La Riforma protestante, inoltre, aveva rotto l’unità religiosa dell’Impero, sulla quale si basava principalmente la corona di Carlo Magno.
Carlo V non poté che prenderne atto e abdicò, dividendo (tra il figlio e il fratello) i suoi domini in due monarchie asburgiche ereditarie: la spagnola e l’austriaca, solidali sì, ma non più riunibili. Il titolo imperiale andò alla più debole Austria, esposta alla costante minaccia turca.

Vienna assediata dai Turchi nel 1529

A dire il vero, la lotta contro i Turchi e la difesa della città di Vienna, baluardo dell’Europa cristiana, divennero la missione e nello stesso tempo la giustificazione dell’esistenza della casa d’Asburgo, alla quale nessuno più contestò il titolo imperiale. Anche la funzione giuridica dell’elezione  venne di fatto abolita e permasero solo le forme esteriori. Per quanto riguarda l’incoronazione papale, Carlo V fu l’ultimo imperatore incoronato dal papa, a Bologna, comunque, e non più a Roma.
L’Impero si configurava ormai come una confederazione di principati e di città tedesche indipendenti. L’ultimo tentativo degli Asburgo di costituire con la guerra dei Trent’anni uno stato unitario nel cuore dell’Europa fallì e nel 1648, la pace di Westfalia riconobbe in pratica la dignità di ben 350 piccoli stati tedeschi sovrani (un vero mosaico o una “coperta a toppe”, come allora si disse) che si limitarono a prestare all’imperatore un ossequio solo formale.

COME SI CONCLUSE LA STORIA DELL’IMPERO?
Le guerre napoleoniche dettero al vecchio Impero l’ultimo colpo. Nel 1806 Napoleone annunciò di non riconoscere più l’esistenza del Sacro Romano Impero e a Francesco II d’Asburgo Lorena non rimase che rinunciare all’antichissimo titolo prestigioso e assumere quello, più rispondente alla realtà delle cose, di Francesco I, imperatore d’Austria.
Per più di un secolo da Vienna l’imperatore poté esercitare un’effettiva autorità solo sui domini ereditari, che erano comunque un’entità di tutto rispetto, costituita da 50 milioni di abitanti di dodici nazionalità diverse. Nel 1867 Francesco Giuseppe fu, però, costretto a scendere a compromessi con la nobiltà ungherese e ad accettare l’esistenza di due regni distinti sotto lo stesso sovrano. Egli, quindi, oltre a mantenere il titolo di imperatore d’Austria, assunse anche quello di re d’Ungheria e l’Impero si chiamò Austro-ungarico o semplicemente Austria-Ungheria.  
Come tutti sanno, l’espediente non fu assolutamente risolutivo: la disgregazione dell’antica entità politica sovranazionale, sopravvissuta a se stessa, era ormai prossima e inevitabile e quando nel 1918, alla fine della Prima Guerra Mondiale, crollò l’Impero d’Austria-Ungheria, sulle sue rovine nacquero ben quattro stati: Austria, Ungheria, Cecoslovacchia e Iugoslavia, mentre altri territori asburgici entrarono a far parte degli stati confinanti (Italia compresa).

Francesco Giuseppe alla sua scrivania nell’Hofburg di Vienna

Forse l’Impero aveva, però, già cessato di vivere nel 1916 con la morte di Francesco Giuseppe, l’uomo che per 68 anni ne aveva retto le sorti con coscienzioso scrupolo ed imperturbabile assolutismo dalla sua scrivania dell’Hofburg di Vienna. Privo di fantasia e irremovibile nel suo attaccamento al passato, non volle modificare le regole del suo Impero e quelle della sua vita privata, nemmeno di fronte ai dolori più grandi e alle disfatte più evidenti e fatali. O forse l’Impero era già collassato con il suicidio del suo erede Rodolfo. Come può continuare ad esistere un Impero, in cui l’unico erede diretto decide di rinunciare a vivere?

COSA RESTA OGGI DEGLI  IDEALI DELL’IMPERO?
L’idea guida dell’Impero sopranazionale fu sostituita dagli inconciliabili ideali patriottici degli stati nazionali. Non dobbiamo, però, dimenticare che le nazioni europee furono un prodotto del Medioevo e l’Impero Carolingio contribuì alla loro formazione, sia pure senza saperlo né volerlo.
Proprio sotto i Carolingi appaiono nei documenti curiose formule secondo le quali ogni interessato dichiara di vivere “secondo il diritto franco o longobardo, alemanno, visigoto, romano…” in virtù della sua nascita cioè ex natione. Il termine tiene conto solo dell’etnia e non del quadro geografico-amministrativo, ma l’idea delle diverse “nazionalità” europee è già embrionalmente comparsa. L’antica Roma, invece, aveva dissolto i nazionalismi primitivi in un patriottismo universale.

Divisione Impero Carolingio

Non dimentichiamo che proprio quella che è stata definita la debolezza dell’Impero Carolingio, e cioè la concezione dello stato patrimoniale da dividere tra gli eredi dell’imperatore, produsse quell’originale documento che fu il giuramento di Strasburgo dell’842. In quell’anno i tre nipoti di Carlo Magno trovarono un accordo per dividersi fra di loro le molte terre dell’Impero. I criteri di nazionalità non ebbero parte alcuna nella spartizione, ma nel giuramento di Strasburgo i due fratelli cadetti si impegnarono a non danneggiarsi a vicenda, pronunciando la formula non più in latino, ma nei volgari francese e tedesco, cioè nelle uniche lingue che i loro sudditi fossero in grado di comprendere.
E la lingua è proprio alla base della identificazione nazionale, in nome della quale hanno lottato a lungo nel corso del sec XIX quei popoli europei per i quali la nazione non coincideva con lo stato. Potremmo continuare ancora con la storia dell’Europa, che, dopo la Seconda Guerra Mondiale, ha voluto di nuovo trovare un collante politico comune, al di sopra delle istanze nazionali. Nella storia tutto tiene e niente è senza conseguenze. Evidentemente l’avventura dell’Impero Romano e del Sacro Romano Impero non si sono dissolte senza lasciare qualche traccia nel DNA degli Europei.
Ma questa è un’altra pagina, a cui dedicare altri studi. Il nostro tema ci ha condotto fin qui e qui concludiamo.