Incontro culturale
La storia di Gerusalemme dalle origini alla dominazione persiana (1°incontro)
Una città senza storia …
Quando ho deciso di dedicarmi alla storia della città di Gerusalemme, sapevo che avrei dovuto affrontare un lavoro impegnativo, ma le difficoltà incontrate hanno superato le mie previsioni iniziali.
Sepolta sotto il cumulo delle memorie che le tre religioni monoteiste le hanno attribuito, Gerusalemme è l’unica città al mondo che sembra non essere un luogo di storia, perché vicende risalenti a secoli o a millenni fa entrano a far parte della propaganda di oggi e immobilizzano la città come eterna custode di rappresentazioni immutabili.
Città-tempio, città-simbolo Gerusalemme ha assunto, soprattutto a partire dal 1948, un ruolo eccezionale e, come nessun’altra città al mondo, vive uno strano sdoppiamento, perché alla storia della città vissuta si è sovrapposta la storia della città rappresentata.
Tre esempi fra i tanti. Moriah (in ebraico “ordine di Jahvè”) si trasforma da “territorio” in “monte”, si trasferisce da una località imprecisata (in Genesi 22, 2) sulla roccia più alta della città e diventa con il tempo luogo di eventi quali il sacrificio di Isacco, la creazione del mondo e l’ascesa al cielo di Maometto, caricandosi così di una serie di rilevanti significati religiosi.
La valle di Giosafat, una modesta vallata, nella quale scorre un torrente intermittente di nome Kidron, assume il nome di un re vissuto nel IX secolo a.C. e diventa il luogo del Giudizio universale, tradizionalmente condiviso dalle tre religioni monoteiste. D’altro canto la Geènna, valletta scavata dal torrente Hinnom sul lato meridionale della Gerusalemme antica (il nome deriva dall’ebraico gē-hinnom che significa, appunto “valle dell’Hinnom”), dove le immondizie erano bruciate con un fuoco continuo e dove, secondo la Bibbia, venivano sacrificate vittime umane al dio Moloch, antica divinità cananea fortemente combattuta dai profeti d’Israele, è passata a rappresentare l’Inferno per tutte e tre le religioni monoteiste, un luogo di punizione, dove il fuoco brucia i peccatori.
Una città senza geografia
La città di Gerusalemme, collocata su un altipiano arido, sembra galleggiare in un non luogo. I suoi quasi ottocento metri di altezza, i profondi dirupi (un tempo più evidenti) che la intersecano e la sua scomoda posizione, tra le fiorenti pianure litorali mediterranee a ovest e il deserto a est verso il Mar Morto, sono generalmente ignorati, come se la geografia avesse poco peso nello spiegare la sua storia.
“Gerusalemme è sorta in un luogo che nessuno avrebbe potuto invidiare e per il quale nessuno avrebbe voluto pigliar guerra seriamente […] Infatti il terreno di Gerusalemme è tutto pietroso; e, benché nella città si trovi abbondanza d’acqua, il paese all’intorno è peraltro sterile, arido e […] tutto roccioso.” scriveva Strabone, geografo greco vissuto a cavallo dell’era cristiana
L’abbondanza d’acqua, di cui parla Strabone, si riferisce alla sorgente intermittente di origine carsica che si trova in una grotta nei pressi della Valle del Kidron. Il suo nome Gihon significava “sgorga, zampilla” e si stima potesse fornire acqua per 2500 abitanti e consentire l’irrigazione dell’oasi nella valle adiacente. Col tempo furono scavati una vasca, la Piscina di Siloe, per immagazzinare l’acqua quando il sifone non era colmo e tre canali che consentivano di attingere acqua all’interno della città. La scoperta di due torri cananee nella zona attestano l’esistenza di una fortificazione cananea a protezione della sorgente sin dalla Media età del bronzo.
Storia e tradizione biblica
Fino a non molti decenni fa la soggezione teologica alla Bibbia non favoriva un approccio laico alla storia antica di Gerusalemme. Del resto ancora oggi le vicende dell’antico Israele (comprese quelle inserite nei testi scolastici e nelle guide turistiche) ripropongono generalmente il filo conduttore biblico e partono da Abramo, il pastore nomade che lasciò la lontana città sumera di Ur, nella fertile Mesopotamia, dove si erano sviluppate l’agricoltura forse più antica del mondo e una precoce civiltà urbana, per raggiungere la povera e arida terra di Canaan, promessagli da Dio.
In realtà la critica biblica, aiutata da analisi storiche comparate, dall’archeologia, dallo studio delle epigrafi e dalla critica letteraria, aveva già concluso che gli Ebrei non erano arrivati nella Terra promessa partendo dalla lontana Mesopotamia. Il loro esodo dall’Egitto guidato da Mosè non aveva fondamenti storici, le mura di Gerico non erano crollate al suono delle trombe e addirittura il monoteismo sarebbe stato raggiunto solo nel VII sec. a.C. grazie ad una riforma religiosa che aveva voluto cancellare idolatrie e politeismi precedenti.
Lo stesso termine ebrei deriverebbe, secondo un’interpretazione piuttosto accreditata, da ibri e quest’ultimo da habiru. Il nome habiru non avrebbe avuto all’inizio un valore etnico, perchè nell’Età del tardo bronzo (1550-1180) indicava gruppi di contadini indebitati, di servi in fuga e di emarginati che, per sfuggire ai creditori e a un destino di asservimento, si raccoglievano in bande e sopravvivevano grazie alle razzie. Un’eco di questa realtà è rintracciabile anche nella Bibbia, là dove si racconta di Davide capo di una di queste bande. (1 Samuele, 22, 2 e segg.)
Archeologi e storici autorevoli, quali Israel Finkelstein dell’Università di Tel Aviv e Mario Liverani dell’Università di Roma La Sapienza, hanno smantellato anche la certezza di un potente regno unitario delle dodici tribù d’Israele sotto i due re Davide e Salomone con la città-tempio di Gerusalemme come capitale intorno al 1000 a.C. e cioè nella Prima età del ferro.
In realtà i due piccoli regni di Israele a nord, con capitale Sichem (poi Samaria), e di Giuda a sud, con capitale Gerusalemme, di cui ci parla la Bibbia, sono sempre rimasti separati. La loro storia “normale”, simile a quella di tanti altri regni locali condannati all’oblio, sarebbe stata dimenticata e riservata solo agli specialisti, se non ci fosse stata la storia “inventata”, quella che gli esuli giudei costruirono durante e dopo l’esilio in Babilonia, a partire dal VI sec. a.C.
Già nel secolo precedente, dopo la sconfitta e la dispersione da parte degli Assiri del più ricco e potente regno di Israele (che accoglieva secondo la Bibbia dieci delle dodici tribù d’Israele), l’insignificante regno di Giuda si era trovato inaspettatamente in una condizione privilegiata.
La richiesta di vino e olio da parte degli Assiri e dei loro vassalli aveva incrementato l’agricoltura nelle campagne intorno a Gerusalemme, che aveva conosciuto uno sviluppo commerciale e culturale e una crescita demografica notevoli, anche grazie all’arrivo di rifugiati dallo sconfitto regno di Israele.
Questo avrebbe permesso al re Giosia di porre le basi per una radicale riforma religiosa che doveva eliminare tutte le tracce di culti diversi. La riforma forniva uno schema di interpretazione storica basata in modo esasperato e ossessivo sul premio o sul castigo divino e soprattutto su una speciale ed esclusiva predestinazione del popolo d’Israele. Era quindi necessario esaltare l’identità etnica delle dodici tribù d’Israele stanziate nei due regni e immaginare un’unità statale riferita almeno al regno di Davide, il capostipite, e a Salomone suo figlio, il mitico costruttore dell’enorme prezioso tempio destinato a conservare l’arca dell’Alleanza e le tavole dei comandamenti.
“Gli Ebrei, come del resto tanti altri popoli, si sono dati un mito delle origini nel momento in cui ne avevano più bisogno” dice Liverani “Oggi, con evidente anacronismo, ma con qualche ragione, si potrebbero accostare quelle pagine del Vecchio Testamento a un documento di propaganda politica”.
Nonostante la rappresentazione che ne fu offerta in seguito, l’esilio, che avrebbe potuto cancellare la specificità del popolo ebraico e la sua fede religiosa, rafforzò la sua fede in unico dio e consentì alla classe dirigente e al ceto sacerdotale di mantenere una propria identità. I Giudei alimentarono queste convinzioni, anzi le arricchirono con apprezzabili contributi della cultura babilonese.
La facile conquista di Babilonia da parte di Ciro, favorita probabilmente dai sacerdoti del locale dio Marduk, consentì al re persiano di presentarsi come un liberatore, disposto a onorare il dio Marduk e a restaurare i santuari di tutti gli dei stranieri. Anche se il tempio di Gerusalemme non viene nominato nel Cilindro di Ciro, l’atteggiamento del re persiano che dichiarava: “Io sono stato capace di far vivere tutte le terre in pace” inaugurò una politica di tolleranza, che consentì il ritorno di una parte degli esuli ebrei e permise loro di ricostruire il tempio distrutto da Nabucodonosor nel 587 a.C.
Con la fine dell’esilio, sotto la tollerante autorità persiana, in assenza di una monarchia locale, il Tempio di Gerusalemme divenne il centro d’identità nazionale del popolo che abitava nella provincia di Giudea (nome attribuito dai Persiani a quello che era stato il regno di Giuda) e i sacerdoti, oltre ad occuparsi della celebrazione dei sacrifici, proseguirono nell’opera di scrittura della Bibbia, assemblando tra l’altro storie di eroi tradizionali del Nord (dove un tempo si era creato il regno di Israele) e del Sud (caratterizzato dalla presenza del regno di Giuda).
Si doveva fornire l’immagine di un’unica comunità pan-israelita e determinare le leggi che avrebbero dovuto distinguere gli Israeliti da tutti gli altri popoli circostanti. Gerusalemme, città-tempio su modello babilonese, sarebbe sempre stata al centro della storia del popolo d’Israele, il suo tempio il solo luogo di culto legittimo e il re Davide benedetto da una speciale santità che ricadeva sui suoi discendenti.
Come scrive Mario Liverani “Quanto la storia vera ma normale era stata priva di un interesse che non fosse prettamente locale, tanto la storia inventata ed eccezionale divenne la base per la fondazione di una nazione (Israele) e di una religione (il Giudaismo) che avrebbero influenzato l’intero corso della storia successiva su scala mondiale.”
I due testi a cui faccio riferimento sono:
I. Finkelstein, N. A. Silberman, Le tracce di Mosè. La Bibbia tra storia e mito, Carocci, Roma, 2011
(Traduzione dall’originale in inglese del 2001)
M. Liverani, Oltre la Bibbia Storia antica di Israele, Laterza, Bari, 2003
Una sintesi a carattere divulgativo delle interpretazioni storiche di Mario Liverani si trova in Internet cercando:
Didattica della Storia Historia Ludens L’antico Israele
Una rara prospettiva laica della storia di Gerusalemme è proposta da:
Gerusalemme Storia di una città-mondo” a cura di Vincent Lemire, Einaudi, Torino
Nella pagina di questo sito dedicata all’incontro culturale seguente (12 febbraio 2019) troverete: un glossario e uno schema cronologico con le recenti ipotesi storiche, confrontate con le testimonianze bibliche e i ritrovamenti archeologici.