Incontro culturale
Perché vince sempre Lui?
Bruno Longo ci ha fornito la trascrizione del suo intervento orale, chiarendo che si tratta di “un testo scarnificato con alcune giravolte immotivate”. Noi che abbiamo avuto il piacere di ascoltarlo dal vivo, il 16 novembre 2023 nella Sala riunioni della Casa delle Associazioni di Conegliano, possiamo assicurare che la sua presentazione, aggiornata, puntuale ed esaustiva, ha riscosso un grande successo e ha stimolato la partecipazione del nostro pubblico, particolarmente interessato all’argomento.
Perché vince sempre Lui? Turcheria o nuova democrazia?
Comincio con una confessione. Ero assolutamente convinto (come tutti del resto: giornali, sondaggi, amici) che Erdoğan avrebbe perso: troppo alta l’inflazione, troppo mal gestito il grande terremoto di Kahramanmaraș e Antakya, troppo accentrato il potere perché si potesse sviare le colpe su qualcun altro.
E invece ha ottenuto una vittoria, contenuta ma netta, anche nel TBMM (Tȕrkiye Bȕyȕk Millet Meclisi), il Parlamento unicamerale composto da 600 membri, eletti con il sistema proporzionale con sbarramento al 7% in 87 distretti. Il risultato quindi ha confermato Erdoğan come presidente con il 52,18 dei voti, mentre il suo avversario Kiliçdaroğlu si è fermato al 47,82.
I 323 seggi necessari per avere la maggioranza in Parlamento sono stati ottenuti con i 268 seggi assegnati al AKP, il partito di Erdoğan, 50 seggi al MHP, i nazionalisti di destra, e 5 seggi al Hüdar Par, islamista curdo e al Refah, islamista sunnita.
Gli sconfitti sono stati costretti ad assistere anche agli sberleffi del vincitore Erdoğan, che in pubblico sogghigna: “Kimi bodrumda soğanla, kimi balkonda insanla” (C’è chi sta in cantina con una cipolla e chi sul balcone con la folla). Si riferiva alla campagna elettorale sui social del rivale, che protestava contro l’inflazione dalla cucina di casa tenendo una cipolla in mano!
Brogli? È vero che il sistema a distretti permette di spostare i votanti sotto controllo governativo (polizia, esercito ecc.) dove è più conveniente. È vero che le liste dei votanti possono essere rimaneggiate, vista la mobilità molto alta dei Turchi. È vero che il controllo del voto è approssimativo e l’opposizione non ha forze bastanti in molte zone per proporre i suoi rappresentanti. È vero che i Mukhtar,capi villaggio o quartiere, eletti ma tradizionalmente alleati del potere centrale, sono fondamentali nell’ Anatolia centrale dove l’AKP raccoglie il grosso dei voti, ma questa volta le percentuali non erano superiori al solito.
Fino a tardi ho pensato che l’opposizione avrebbe rimontato con i voti delle città della costa e in quel senso si muovevano anche le dichiarazioni alle tv di “sinistra”, ma non c’è stata nessuna rimonta nelle grandi città della costa e a Istanbul. Non hanno perso voti rispetto alle ultime amministrative, ma non ne hanno guadagnati. E non c’è stata nessuna onda controcorrente da parte dei giovani nuovi votanti.
ALLORA, PERCHÈ ?
Sono rimasto colpito da un’ immagine che avevo visto molte volte. Ad ogni manifestazione di partito il segretario viene omaggiato da tutti i presenti, anche anziani, con un inchino e un bacio alla mano, che accetta con nonchalance. Quel segretario si chiama Devlet Bahçeli, appartiene al partito del MHP, che prende dall’8 al 10 % dei voti, ha 76 anni ed è là dal 1997. È uno che non si perita di nascondere l’amicizia con i capi mafia e anzi fa approvare leggi di amnistia in loro favore!
Avevo sottovalutato la vischiosità della storia e peccato di economicismo, come si definiva una volta il ricorso a spiegazioni di tipo economico, pensando che, dato che la situazione economica era terribile, con una inflazione reale anche del 150 %, la gente si sarebbe ribellata. Ho dovuto convincermi che l’opinione pubblica è fatta di tanti ingredienti e, nel momento del pericolo, i più deboli tenderanno ad appoggiarsi a chi appare più forte.
Un altro errore è stato guardare tutto dal centro di Istanbul, dove si trovano le sedi degli organi di stampa dei gruppi economici dominanti, le università migliori e dove risiedono le élite, perché la Turchia è una realtà molto differenziata e, dietro alla omogeneità apparente, si avvertono fratture profonde di carattere religioso, sociale, etnico.
Nei nuovi palazzoni appena costruiti trovano spazio povertà materiali e culturali, così che molti nutrono le proprie vite di vecchi torti e il “non perdonare” vale sia per l’individuo che per i gruppi.
LA PERSONALIZZAZIONE
Esiste nella vita politica turca il fenomeno della personalizzazione. Sulle automobili o sui manifesti del comune è sempre predominante il nome del sindaco, tanto che bisogna riverniciare i veicoli quando il sindaco cambia!
La personalizzazione opera anche qui da noi in Italia: pensate a Berlusconi, a Renzi e a Meloni, ma si tratta di una somiglianza solo apparente, infatti i due fenomeni hanno origine diverse. In Italia la personalizzazione è un fenomeno recente, portato dalla morte delle ideologie forti (si votava DC o PC, non Forlani o Longo, neanche Moro o Togliatti) e dalla nascita della società dello spettacolo (Fedez che si impadronisce del palco del Primo Maggio).
In Turchia, come in tanti altri paesi mussulmani e/o mediorientali, questo è invece un fenomeno antico, associato alla mancanza di leggi scritte precise. Se le leggi ci sono, esse vanno interpretate, come quelle del Corano, e comunque conta il rapporto personale con lo șeik o l’ağa, figura ancora importante nelle aree sudorientali del paese, anche se non così determinate come un tempo.
Su questo piano non c’è partita: Erdoğan è lì da 20 anni e la durata crea carisma (pensate alla Merkel)! In tutti questi anni lui si è creato una dimensione internazionale forte e questo per il nazionalismo turco, fortissimo a destra come a sinistra, è molto importante. In Turchia si possono ancora vedere insegne di barbiere con la scritta one minit con riferimento all’interruzione del discorso di Simon Peres fatta da Erdoğan al consesso annuale dei potenti di Davos.
Senza contare che Erdoğan si presenta sempre come “uomo del fare” in contrapposizione alle chiacchiere e, in effetti, negli ultimi dieci anni ha costruito 3 grandi ponti comparabili a quello di cui noi discutiamo da 50 anni.
Che spenda somme pazzesche per il Palazzo presidenziale di Ankara di 1100 stanze, la mega villa al mare di Urla e il nuovo palazzo di Ahlat, in verità, piace alla maggioranza dei Turchi, che, identificandosi con lui, si sente trasportata in alto.
È indiscussa la sua fedeltà alla propria base di mazlum (20%). Questa fedeltà si esprime sia sul piano religioso, a favore dei sunniti tradizionalisti contrapposti agli alevi, sincretisti quasi sciiti, spesso ritenuti neanche mussulmani, sia sul piano sociale, con particolare attenzione alle “mance” importanti per molti (le nonne che accudiscono i nipotini, i poveri che non avrebbero soldi per comprare il carbone …) e culturale. Erdoğan è a favore della famiglia contro i LBGT, ma solo contro i comportamenti scandalosi, perché l’omosessualità non è reato e ha una tradizione accettata nell’arte.
NAZIONALISMO
A proposito di nazionalismo c’è un altro tipo di immagini pubblicate da tutti i giornali che possono far pensare. Si vede la squadra di pallavolo femminile che ha vinto il campionato d’Europa. Questa vittoria, esattamente come sarebbe avvenuto in Italia, ha creato un tripudio generale, ma nelle foto la campionessa, che ha segnato metà dei punti, che ha vinto delle partite da sola, o è quasi invisibile perché è ai margini dell’inquadratura o non appare del tutto. Motivo? La pallavolista si chiama Vargas, è cubana di origine, nera e cristiana. In primo piano viene inquadrata sempre la più brava di gran lunga delle turche, Ebrar Karakut, molto chiaramente lesbica … Su questo tema la stampa si spacca, ma solo la parte più retriva la attacca.
Il nazionalismo estremizzato ha prodotto anche degli aggiustamenti tattici nei confronti dei profughi, come la rabbia montante contro i Siriani. Da difensore e protettore di tutti i mussulmani (nelle vesti che avrebbero dovuto essere di supplenza del Califfo mancante) Erdoğan riveste ora un nuovo ruolo e promette di rispedire in patria questi profughi, che comunque non sono mai stati concentrati nelle zone del suo bacino elettorale.
Infine, per sostenere l’occupazione, ha costretto la banca centrale a praticare una politica di basso costo del denaro, scatenando così l’inflazione.
IL DOPO-ELEZIONI
Il dopo-elezioni dà ragione alla scelta degli elettori, ai quali viene offerto un rinnovamento. Erdoğan, infatti, cambia tre dei suoi ministri. Agli Interni manda via Soylu, probabilmente per i suoi preoccupanti legami con la mafia, agli Esteri colloca Akan Fidan, suo fidatissimo capo dei servizi segreti, e all’Economia Şimsek, favorevole ad una classica politica antinflattiva.
Solo da un paio di settimane lo sconfitto Kemal Kiliçdaroğlu, leader del principale partito di opposizione, si è dimesso a favore del suo vice, (in attesa che il sindaco di Istanbul possa subentrare dopo le prossime elezioni amministrative), ma per settimane aveva dichiarato: “Sono il capitano della nave e il capitano non lascia la nave in acque pericolose” o anche: “Beh, è solo una sconfitta. Ne abbiamo avute tante”. In realtà è stato quasi sempre sconfitto da quando, tanto tempo fa, fu eletto segretario.
COSA SUCCEDERÀ ?
Non sono un indovino, ma posso prevedere che in Turchia proseguirà la politica estera muscolare per interesse personale del “Sultano”, per soddisfare l’ autorappresentazione del paese (che si sente ancora, dopo cento anni, erede di un impero) e per distrarre la popolazione dai fallimenti interni.
Proseguirà il controllo della magistratura e dei media. Non è necessario che tutti i magistrati siano obbedienti, ma è necessario che tutti capiscano che, per far carriera, bisogna stare da una parte, quella del governo. Se molti sono i magistrati corrotti, non importa: ci rimetterà il paese, non il governo. Se si apre un caso, come adesso quello di Can Atalay, deputato eletto ma condannato, la Corte Costituzionale (AYM) ordina il suo reintegro e il Consiglio superiore della Magistratura (YARGITAY) si oppone alla vittoria del suo partito.
Si continuerà a impedire l’operare dei corpi intermedi e a vietare le manifestazioni. Ricordo che praticamente tutti i sindaci del partito curdo (anche eletti con maggioranze del 70%) sono stati rimossi. Sono bastate una denuncia e una condanna qualsiasi: appoggio al terrorismo, malversazione ecc …
Le manifestazioni sono continuamente vietate. Così solo un pugno di coraggiosi protesta e finisce in carcere sulla base magari di un semplice tweet. L’opposizione si riduce alla difesa di pochi eroi: Imamoğlu, sindaco di Istanbul e astro nascente del CHP, con processo pendente, e Demirtaș, segretario, che era riuscito a portare il partito curdo al suo massimo storico, e ora è in prigione da anni.
Si allargherà il deserto tra l’elettorato e il capo, il quale si prefiggerà di intervenire su tutti i campi (anche in quello artistico, perfino in quello musicale), di occupare tutti gli spazi con propri uomini, di non lasciare prosperare nessuna organizzazione autonoma, che potrebbe diventare in certi momenti un centro di cristallizzazione, come era accaduto nel 2013, quando l’opposizione al progetto di ricostruzione del Gezi Park, nel cuore di Istanbul, che prevedeva l’abbattimento di 600 alberi, aveva acceso una protesta dilagata poi in tutto il paese.
Concludendo Erdoğan imporrà a tutti i livelli la sua agenda. Sul piano politico una nuova costituzione e una diversa legge elettorale; in campo economico il Kanal Istanbul, un canale navigabile che dovrebbe collegare il Mar Nero con il Mar di Marmara a ovest di Istanbul, le privatizzazioni, i legami con paesi arabi ecc.
All’opposizione non resterà che rincorrerlo criticando i suoi progetti.
A questo punto a qualcuno verrà forse il dubbio che qualche cosa di simile stia avvenendo o possa avvenire anche in Italia?